sabato 23 maggio 2009


FERMIAMO LA PRODUZIONE CINESE.
Forse il più grave problema che attualmente affligge la città di Prato, è legato (come tutti ben sapranno) alla presenza di cinesi sul nostro territorio. Una vera e propria invasione, la possiamo tranquillamente definire cosi, che ha avuto inizio nel '90, e che fino ad oggi ha continuato a crescere inesorabilmente tanto da far diventare quella di Prato, una tra le primissime comunità cinesi per numero di abitanti in Europa, dietro soltanto a Londra e Parigi, che sono queste delle metropoli con milioni di abitanti. Ad oggi su un comune, quello di Prato, di circa 195.000 abitanti il 20% sono cinesi provenienti prevalentemente dalle provincie cinesi dello Wenzhou e dello Zhejiang . Oltre all'aspetto sociale, cè un'altro aspetto che risente molto della presenza cinese, stiamo parlando del settore economico.


Molti sapranno che Prato è famosa nel mondo per il comparto tessile che dal secondo dopoguerra ha avuto una incredibile ascesa fino all'inizio di questa invasione che ha portato un concorrente sleale e corruttore. Le aziende che fanno capo a imprenditori con gli occhi a mandorla a fine 2007 erano 3.528 (+17% sul 2006), di cui 2.440 nel comparto delle confezioni e 215 in quello tessile. A Prato, un'azienda ogni otto parla cinese (12,5%). Queste imprese hanno un turnover del 60% contro il 15,7% delle italiane (cioè muoiono e rinascono velocemente). Il loro giro d'affari è di 1,8 miliardi, ma un miliardo viene realizzato in nero. L'export è il 70% del fatturato, perchè il pronto moda cinese di Prato rifornisce buona parte dell'Europa. Sono 360 milioni i capi d'abbigliamento che questo distretto parallelo sforna ogni anno. Senza avere punti di contatto con il tradizionale distretto italiano. I cinesi comprano tessuti non pratesi (costo e qualità sono troppo elevati), in prevalenza importano dalla stessa Cina (negli ultimi dieci anni l'import cinese è aumentato di oltre i 3mila%), e sempre più si organizzano autonomamente anche per quanto riguarda la logistica e i trasporti. Il costo del lavoro per unità di prodotto (clup) quale risulta dai bilanci delle aziende cinesi è del 42,7% contro il 73,2% del distretto tessile ufficiale. I lavoratori cinesi lavorano in uno stato vicino alla schiavitù simile ai Laogai della loro patria e il 46% dei contratti di lavoro (di quei pochissimi che possono avere un contratto in regola), nelle imprese cinesi del pronto moda, dura meno di sei mesi. Quando un'azienda chiude, tutti i dipendenti si dimettono. Le regole sono un optional (il livello di evasione della tassa sui rifiuti, per esempio, è dell'80%). Esenti dalle tassazioni, un paradiso fiscale a tutti gli effetti.


450 milioni di euro. E' questa la cifra di denaro che tra il 2007 ed il 2008 è stata trasferita da Prato verso conti correnti di banche estere, che per un'ottanta per cento sono banche cinesi. Facendo il calcolo giornaliero abbiamo più di un milione di euro che viene trasferito in piccole somme di denaro, e che quindi tutti i cittadini pratesi PERDONO, comprese le amministrazioni locali (coloro che tanto hanno voluto l'amico orientale). Uso questa parola "perdono", per il semplice motivo che essendo questa una somma di denaro che non viene reinvestita nel comparto economico locale sotto forma nè di tasse nè di liquidità, di tutti questi soldi nessuno può usufruirne, e quindi sono persi, facendo si che Prato si indebolisca ancora maggiormente dal punto di vista economico.


Ma da dove provengono questi soldi? Questi non sono altro che gli utili delle aziende cinesi che lavorano nel distretto.




L'unico intervento adeguato per la risoluzione di tale problema, è l'esclusione totale ed immediata dal circuito economico pratese di tutte le aziende straniere.


Intervento che Forza Nuova intendera' portare avanti con decisione.




FN Prato

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